
Fra le mille e una prerogative dei dintorni di Roma c’è il gran numero di fortificazioni.
E questo è normale, dati i 2.500 anni di storia della città e in particolare dato il lungo periodo allorché, cessata la pax romana, ci si doveva difendere da nemici esterni, e anche interni come le famiglie rivali.
Peccato che la maggior parte di queste torri, simbolo di un passato “interessante” (il saggio si augurava di vivere in tempi storicamente non interessanti), praticamente sconosciute e di grande suggestione, si trovino in proprietà private e quindi di impossibile accesso. Come per esempio la bellissima torre di Cornazzano, che vedemmo allorché ci avventurammo nella valle dell’Arrone, nel XIV municipio romano.
Fra le poche relativamente fruibili c’è la torre di Albuccione, a circa dieci chilometri dal GRA, poco distante dalla Tiburtina, eppure da questa invisibile, mimetizzata com’è fra le dolci colline che si dipanano verso la Prenestina.

Se, saliti sull’acrocoro di roccia sul quale è poggiata la torre, non vi volterete indietro a guardare i capannoni e gli scempi edilizi che contornano la Tiburtina, ma guarderete davanti a voi, si aprirà un paesaggio d’altri tempi: la strada bianca fra i campi sottostanti con i greggi di pecore, la ferrovia Roma – Tivoli, inaugurata nel 1887, mimetizzata nel paesaggio e con un piccolo dismesso casello ferroviario, divenuto ormai abitazione privata con i fiori alle finestre, e soprattutto con la sequenza infinita di ondulazioni fino a Tivoli verso est e l’agro polense verso sud e con i monti Lucretili a fare da skyline: un paesaggio che, da questa prospettiva, sembra immutato da decenni.
Detto questo, trascrivo alcune note dell’amico Simone de Fraja, al quale devo la “scoperta” di questo sito:
“… fu con difficoltà che fra aziende agricole, grandi centri produttivi ed enormi aree camionabili, riuscii a scovare i ruderi della torre di Albuccione grazie anche ad un paziente esame delle mappe satellitari…e la torre di Albuccione possono essere indicati come esempi per la cui edificazione si attinse al banco di tufo sul quale si decise di edificare la fortificazione ovvero l’elemento fondamentale dell’azienda agricola medievale fortificata, il casale; dunque una torre in cui le finalità militari passano in secondo piano, pur rimanendo intrinseca la funzione difensiva, generalmente dotata di un circuito murario di modeste dimensioni.

…edificata in posizione idonea al controllo e gestione di ampie tenute agricole e non lontano da un’arteria di scorrimento, la Via Tiburtina, della quale si intendeva anche sfruttare il potenziale e l’indotto, come spesso accedeva nell’Agro romano.
La torre sorge su un rilievo caratterizzato dalla presenza di una ampia grotta o più esattamente la cava di materiale con il quale vennero realizzate le strutture…qui sembra che il senso del tempo ed il contrasto derivato da una imprescindibile frattura epocale, possano finalmente convivere in simbiosi.
Realmente, i due mondi non convivono, come forse si verificava nel Medioevo in cui la rovina era la sostruzione per il nuovo edificio; essi soltanto coesistono, quasi in un rapporto tra carnefice e vittima in cui alla fine, uno può prescindere dall’altro…
N.d.A. Si può a malapena immaginare come apparisse il paesaggio fino a cento anni fa ai nostri antenati, con questa e tante altre torri disperse nella campagna romana, in compagnia del morbido Aniene e delle immani cave di Salone, che abbiamo visto nel secondo libro.
Troverete le indicazioni, su come giungere in questo luogo particolare, nel terzo libro dei “Luoghi segreti a due passi da Roma” di prossima pubblicazione.
