
Quando pensiamo alle cave, ci vengono in mente luoghi degradati con camion rumorosi che vanno e vengono.
E questo è vero. Le cave devastano regolarmente luoghi molto belli.
Basti pensare a come doveva essere la solforata di Pomezia, prima che venisse aggredita da un cava di zolfo.
Un cenno di storia: le cave, come gli acquedotti, in particolare durante l’impero romano, erano una vera e propria industria.
Un’organizzazione logistica perfetta, strutturata in modo ferreo, una filiera di cavatori, battellieri, facchini, carrettieri ecc., ognuno con le competenze progettuali e tecniche necessarie allo scopo.

E, come per gli acquedotti, anche per quanto riguarda l’estrazione di minerali e di materiale da costruzione i romani si ispirarono agli etruschi che, nel golfo di Baratti, in Toscana, avevano peraltro attivato quello che è considerato il più grande centro minerario dell’antichità.
Ma perché dico ciò?
Perché, e questo è il mio cruccio, i popoli che hanno abitato il nostro paese, hanno saputo nei millenni creare filiere industriali senza pari a complemento del genio dei loro artisti e artigiani, come l’Arsenale di Venezia, il più grande complesso produttivo al mondo per un lunghissimo tempo.
Poi un’idea malata di sviluppo, volto a un settore semplice e grezzo come l’edilizia, in cui è facile fare i soldi quando l’economia “gira”, ha favorito l’apertura quasi indiscriminata di molte cave.
Peccato che, quando il ciclo economico si inverte e l’edilizia va in crisi, ci mettano un amen a dismettere le cave, senza che la classe politica abbia pensato a modelli di sviluppo alternativi all’edilizia.

Per esempio si guardano bene dal favorire un piano di riassetto idrogeologico e di efficientamento energetico, ovvero investimenti che darebbero un valore aggiunto moltiplicativo alla collettività e in più farebbero lavorare tante piccole e medie imprese e tanti lavoratori qualificati.
Ma, si sa, le banche non possono fare i loro giochetti con le piccole opere sul territorio o con interventi mirati di risparmio energetico. Hanno bisogno di grandi opere da utilizzare come collaterale per le speculazioni finanziarie.
Oltretutto i banchieri sono pigri e non vogliono faticare per capire modelli produttivi più complessi e granulari come piccole opere di risparmio energetico ecc.
A loro interessano invece i modelli finanziari e, di concerto con la classe politica, interessa il mantenimento status-quo e le posizioni di potere esistenti.
Detto questo, è proprio l’abbandono che rende molte di queste cave estremamente suggestive, a cominciare da quelle famose come le cave di Cusa e di Siracusa (le celebri latomie).

Nel tempo ho ri-scoperto sette cave vicino Roma, che ho descritto nei tre volumi “Luoghi segreti a due passi da Roma”
- le cave del fosso del Drago
- i laghi della Mercareccia
- le cave di Salone
- il lago di Vallerano (sul fondo di una cava sulla via Laurentina appena fuori del GRA).
- i laghi della Marcigliana
- le solfatare di Sacrofano
- le cave di grotta Oscura
Ah! E poi ce un ottavo complesso di cave, non incluse nelle tre guide, ovviamente, stupefacenti anch’esse, le cave di Riano, da poco tempo scoperte.
Molte cave, venute a contatto con le falde, hanno il fondo colmato da laghi, che rendono l’ambiente ancora più suggestivo.
A proposito qual è la mia cava preferita? Questa domanda è veramente complessa: sono tutte e sette diversamente suggestive.
Eppure ce n’è una, che unisce l’incanto delle cave abbandonate a quello delle grotte: si tratta delle cave di Grotta Oscura.

Entrandovi, avvertiamo sensazioni arcane, come quelle provate nelle gallerie etrusche di Formello e nel Ponte Coperto di Ceri, dove anche l’opera dell’uomo in duemila anni si è fusa con la natura e ha reso uniche le cave di grotta Oscura.