
Risparmio energetico e contratto EPC.
Nello scorso post abbiamo analizzato il ruolo di partner che le ESCo possono ricoprire per le aziende, al fine di ottenere risparmi nell’ottica di una proficua relazione win-win.
E a questo punto sorge spontanea una domanda: come mai associare risparmio energetico e ESCO non è così diffuso, pur essendo oggettivamente vantaggioso?
Il problema maggiore è che le azioni che portano al risparmio energetico, per loro natura parcellizzate e adatte volta per volta a singole realtà aziendali, non si prestano ad essere inquadrate in una cornice normativa valida per tutti.
E il contratto tipico che regola il rapporto cliente-ESCo (ovvero il EPC – Energy Performance Contract) non è di immediata comprensione.
Inoltre, a differenza di altri contratti, la fase propedeutica di analisi e monitoraggio ha un importanza fondamentale, e si prolunga in genere per alcuni mesi.
I tempi si allungano poi per farlo interiorizzare contemporaneamente a più attori (soprattutto a commercialisti/fiscalisti i quali, interrogati in merito dai clienti interessati, hanno spesso difficoltà a inquadrare tale contratto, visto che quasi mai l’hanno attuato).
Insomma è un contratto che va affrontato ragionando in maniera creativa (o, come si dice comunemente, con il pensiero laterale).
Proviamo ora ad analizzare questo contratto in maniera più semplice rispetto alle definizioni classiche, che sono spesso a beneficio dei soli addetti ai lavori.
Innanzitutto cosa non è un contratto EPC?
- Non è una consulenza, visto che l’oggetto del contratto è il risparmio reale che il cliente ottiene, e non un risparmio previsto nei progetti-studi di fattibilità.
- Non è un appalto, visto che il termine del pagamento non coincide con il completamento dei lavori, ma dura per tutto il tempo della partnership fra cliente ed ESCo.
- Non è un mutuo, visto che al termine della partnership le tecnologie acquisite e gestite dalla ESCo passano al cliente
- Non è un leasing, né un noleggio, che presuppongono rimborsi in rate periodiche, indipendentemente dai risultati ottenuti, mentre il contratto EPC prevede la remunerazione della ESCo direttamente in funzione dei risparmi che il cliente ottiene.
Cos’è invece un contratto EPC?
Diciamo che è più una concessione che un appalto. Infatti, così come per il concessionario, devono venire eseguiti gli investimenti contrattualizzati. Diciamo che può anche essere visto come un cofinanziamento.
Ma è soprattutto una partnership all’interno della quale, allorché correttamente negoziata, entrambi i componenti vincono.
Ci sono per inciso diverse modalità di contratto EPC. Ne cito due fra le più comuni:
- Shared Savings – la modalità proposta per esempio da Ecososte, in cui la ESCo viene remunerata in diretta proporzione ai risparmi conseguiti.
- Guaranteed Savings – in cui la ESCo garantisce che i risparmi non siano inferiori ad un minimo concordato, stabilito sulla base dell’analisi di fattibilità. In questo caso il contratto è più semplice, ma la ESCo non è solitamente obbligata a far funzionare gli impianti alla massima efficienza, dovendo offrire appunto solo il risparmio garantito nel contratto.
Una nota dolente: essendo, come abbiamo detto, il EPC un contratto non standard, non viene praticamente mai applicato nel settore pubblico, nonostante i risparmi che permetterebbe di ottenere (Troppa fatica da parte dei burocrati rimodulare i contratti vigenti. N.d.r.).
- Infatti i tipici contratti che il cliente pubblico avvia, sono effettuati con grandi fornitori di facility management, che provvedono soprattutto alla fornitura di energia e alla gestione degli immobili; mentre le attività di risparmio energetico sono considerate a latere. Si tratta generalmente di contratti blindati e collaudati tante volte per garantire ai fornitori la maggior parte del profitto, lasciando all’utente le briciole. Paradigmatica è la puntata di Report del 2 dicembre 2013, in cui vengono alla luce le pastette fra Consip e fornitori quali Manutencoop e Romeo.
- Il cliente pubblico per esempio non sa quanta parte del risparmio, che l’azienda di facility management assicura in fase di contratto, provenga magari da minore costo del combustibile e quanto da attività vere e proprie di risparmio energetico, che come abbiamo visto sono un investimento solitamente oneroso, che il fornitore può non avere interesse a fare nel modo più performante possibile.
- Il cliente pubblico evoluto dovrebbe pertanto valutare contratti separati per la fornitura di energia e per le attività di risparmio energetico.
Eppure, cito dalla gazzetta ufficiale dell’unione europea (detta altresì unione dei banchieri) “…per concretare l’obiettivo di migliorare la prestazione energetica degli edifici degli enti pubblici dovrebbero essere utilizzati gli strumenti finanziari dell’unione disponibili e meccanismi di finanziamento innovativi…”
E ancora, sempre dalla gazzetta ufficiale dell’unione europea ” è necessario individuare e rimuovere gli ostacoli…all’uso di contratti di rendimento energetico…tali ostacoli comprendono norme e pratiche contabili, che impediscono che gli investimenti di capitali…siano adeguatamente rispecchiati nella contabilità per l’intera durata dell’investimento…”
Nulla da fare. Le rare volte che dalla burocrazia 2.0 dell’unione europea (se possibile ancora più micidiale e pericolosa di quella nazionale) viene indicata una cosa sensata, questa viene da noi regolarmente disattesa. Invece siamo sempre pronti a relagare decine di miliardi di euro per il fondo salva-stati, meglio detto salva-banche.
Abbiamo dunque visto che il contratto EPC è un processo lungo, che porta peraltro a una maturazione del cliente, il quale tocca con mano temi complessi.
E abbiamo visto che a valle di uno sforzo congiunto cliente-ESCo, associare risparmio energetico e contratto EPC offre eccellenti risultati e un continuo miglioramento delle competenze per entrambi i partner.
luigi plos

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