
Che cos’è Formello?
E’ una porta da saloon per il sogno.
E il sogno sono le sue dolci colline, le infinite forre selvagge con i torrenti (più o meno) rombanti che le hanno erose nei millenni, i circa cinquanta chilometri di gallerie etrusche.
E le gallerie etrusche di Formello sono, probabilmente, il luogo ancora da esplorare più esteso d’Europa, e in più alle porte di una metropoli.
Molte di queste possono essere esplorate solo da escursionisti “duri e puri”, come quella che stiamo per vedere.
Ma andiamo per ordine.
Nelle tre guide “Luoghi segreti a due passi da Roma“ e in questo blog siamo stati tante volte nelle gallerie etrusche di Formello.
Ma tante di quelle volte che alla fine mi ero ripromesso: “E mò basta co ‘ste gallerie!”

Eccomi, invece, nuovamente fregato, nello specifico da Francesco, la sentinella principe di Formello, che, come tante altre sentinelle intorno a Roma, presidia con passione il suo territorio, è attento al degrado e scopre, nel corso delle sue perlustrazioni, luoghi inaspettati.
Francesco un dì mi telefona e mi comunica di avere, con il sodale Diego, scoperto una nuova galleria e io, nonostante i miei propositi, mi fiondo a Formello un giovedì pomeriggio feriale con due amici avvertiti un’ora prima e raccolti per strada fra Ottavia e Giustiniana.
Arriviamo sul ciglio della forra dove si trova la galleria e vedo subito che questa gola è diversa dalle altre finora visitate: arrivare sul fondo sarà possibile solo fissando a un albero una corda da montagna e scendendo con cautela lungo la ripida e scivolosa parete della gola.
Niente male come inizio della nostra piccola avventura.
Cominciamo a percorrere l’alveo della forra e subito ci troviamo in una sorta di paradosso spazio-tempo: camminiamo, infatti, in un ambiente selvaggio, facendoci strada con la roncola fra rovi e felci, mentre ai nostri lati scorrono, alte, le pareti umide e muschiate, in una wilderness quasi totale.
Allo stesso tempo la forra si insinua fin sotto le abitazioni della periferia di Formello, tanto che i suoi bordi sono protetti in buona parte da reti, per evitare che vi cadano gli animali domestici, e magari cuccioli di umani (spicca a un certo punto, la carcassa di un cinghialetto, sfracellatosi non molto tempo prima).

E così, mentre noi siamo in una dimensione wilderness/avventura, venti metri sopra di noi i latrati dei cani e le voci di chi vi abita, ci informano che lassù c’è un’altra dimensione, quella dove ci trovavamo anche noi fino a pochi minuti prima (tipo quella citata nella serie “Ai confini della realtà ricordate, voi più grandicelli?... è la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere. È la regione dell’immaginazione…”).
Il tutto è straniante.
Soprattutto il fatto che quasi certamente chi abita lassù, a pochi metri da noi, non è mai sceso qui sotto, come se ne fosse impedito da una barriera.
Ed ecco venirmi in mente, mentre camminiamo, un’altra citazione cinematografica: la scena chiave di “Interstellar”, dove Matthew McConaughey comunica alla figlia le informazioni che salveranno l’umanità, come se fosse a pochi metri da lei, pur trovandosi in un’altra dimensione spazio-temporale.

Procediamo timorosi e giungiamo alla prima delle due gallerie, lunga circa cinquanta metri, sopra la quale passa la strada con gli automobilisti, inconsapevoli di cosa ci sia sotto le loro auto.
Anche in questa galleria, come in quasi tutte quelle circostanti, l’opera di erosione da parte dell’acqua in quasi tremila anni si è sovrapposta all’azione scavatrice degli etruschi e l’ha ingigantita all’inverosimile.
La percorriamo tutta, schivando, ahinoi, una sorta di cisterna d’acqua gettatavi dal pozzo di servizio sovrastante, torniamo alla luce, sfrondiamo i rovi che ci si parano davanti e giungiamo a una seconda galleria, scavata in un tratto della forra reso policromo dai raggi pomeridiani.
Proseguiamo sul fondo della gola stretti da pareti in apparenza non arrampicabili.
Un ennesimo, troppo fitto, ammasso di rovi ci invita a tornare indietro.
Cosa che facciamo e risaliamo da dove siamo scesi.
Ripresa l’auto che avevamo lasciato sulla strada, a pochi metri di distanza, torniamo nella nostra dimensione spazio-tempo.
Tutto perfetto? Non proprio.
Purtroppo l’eccessiva vicinanza con la specie umana ha portato con sé i cumuli di immondizia nei quali ci siamo imbattuti, abbastanza comuni, purtroppo nei pressi di Roma, segno, oltre che di inciviltà, anche dell’inerzia delle istituzioni, che potrebbero facilmente porre fine a questa sconcezza.
Foto di copertina: uscendo dalla seconda galleria di Ponte Sodino.

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