
Avevo sempre pensato che il sistema delle gallerie etrusche di Formello fosse un unicum, finché gli amici Mauro e Pierpaolo, conoscendo il mio punto debole, non cominciarono a vellicarmi, parlandomi di un ponte sodo (ovvero galleria di utilizzo idraulico) a suo modo particolare presso Ceri, che però non erano riusciti a percorrere per tutta la sua lunghezza.
Non avevo trovato strano, sul momento, questa loro affermazione, visto che altre volte io stesso mi ero dovuto fermare in alcune gallerie a causa dell’acqua troppo alta, o di frane, o, una volta, di una cascata interna che rendeva necessaria un’attrezzatura specifica.
Ora, già Ceri è di per sé straordinaria, fin dal momento in cui appare solitaria e fortificata in modo cinematografico sul suo promontorio di roccia: un quadro di rara bellezza, immerso in un già di per sé incantevole tratto della campagna romana a ovest della capitale.
Ma sono i suoi dintorni a essere ancora più straordinari, come già abbiamo visto in uno scorso post.

Nulla lascia infatti presagire che, nel terreno sotto la monotona, ma panoramica strada fra i campi aperti dove parcheggiamo, a poca distanza dal paese e a circa quindici chilometri dal GRA, ci sia un qualcosa che non ho mai visto vicino Roma.
Cominciamo a camminare fra i campi, e subito il terreno si inabissa davanti a noi, formando una forra più profonda delle tante da me viste in questo quadrante.
Pierpaolo e Mauro ci guardano sornioni quando esclamiamo il nostro stupore e, dopo alcuni minuti di di cammino lungo il ciglio della gola, ci fanno scendere nel punto dove il pendio è meno ripido.
Ora siamo sul fondo della forra. Retrocediamo alcune centinaia di metri e improvvisamente ci troviamo davanti alla galleria.
Noi che non ci eravamo ancora stati, immaginavamo il classico cunicolo (molti ne abbiamo visti in questo blog), scavato per irregimentare le acque.

Quella che ci troviamo davanti è invece una cavità gigantesca con una più piccola a lato, e con altre ancora più piccole, tutte scavate in un grande catino di roccia.
Facciamo i primi metri all’interno, ed ecco un’altra galleria che si apre di lato e che va a ricongiungersi con quella principale, così che questi scavi artificiali diventano un vero sistema di grotte.
Si tratta di scavi così antichi (di certo pre-etruschi), che l’erosione ha completamente modificato nei millenni.
Ora le cose si fanno serie.

Tiriamo fuori le torce e procediamo nell’oscurità, accompagnati dallo scorrere dell’acqua sotto i nostri piedi.
Dopo circa cento metri un salto di roccia con una piccola cascata ci obbliga a una breve disarrampicata.
Dopo altri cinquanta metri intravediamo la luce e arriviamo a un grande ambiente che preannuncia lo sbocco della galleria, con il rivo che si fa strada tra le frane.
Anche qui l’erosione millenaria ha trasformato questa enorme sala, rendendola simile all’accesso di tante grotte carsiche con fiume incorporato che ho visto nel tempo (S. Canziano, l’inghiottitoio del Bussento nel Cilento, la grotta di val dei Varri nel Reatino e tanti altri) e che somiglia anche alla sala terminale delle cave del fosso del Drago.

Siamo così all’uscita, e la traversata è completa.
Una prima assoluta per tutti i componenti il manipolo di esploratori, visto che, come detto, anche Mauro e Pierpaolo non avevano percorso integralmente il Ponte Coperto in precedenza, per mancanza di calzature adatte e di torce.
Ma non è finita, perché poco lontano troviamo un altro ponte sodo niente male, con gigantesco pozzo di servizio a metà percorso.
Leggerete di questo luogo fantastico nel terzo volume dei “Luoghi segreti a due passi da Roma“.
Tutte le foto, a parte quella a lato, sono di Mauro Intini.

Siete scesi nel pozzo di servizio? O viene dall’alto?
Ciao Michele; no no. Non c’è bisogno di calarsi dall’alto.
Dai! Proveremo a organizzare un escursione dedicata a questi posti meravigliosi. A questo proposito ti sei iscritto alla mia mailing list?
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