Ormai, dopo ventine di luoghi segreti, sappiamo che una buona parte di questi si trovano all’interno delle forre: resti di acquedotti romani, antiche mole, via cave, cascate, grotte …
E sappiamo che sono rimasti segreti, perché proprio le forre, che fendono in profondità gli altopiani a nord di Roma, hanno isolato e, quindi, lasciato intatti numerosi siti fascinosi.
Le forre sono sempre sorprendenti, con l’intreccio dei rami che porta a spettacolari formazioni a galleria.
In esse troviamo una grande eterogeneità ambientale con ecosistemi diversi: fluviale, rupestre, boschivo, agricolo).
Questa diversità è dovuta al fatto di non essere frequentate dall’uomo da almeno ottanta anni, alla mancanza di correnti d’aria e all’inversione termica.
Per inciso a causa dell’inversione termica la temperatura diminuisce man mano che si scende, con le nebbie che spesso ristagnano.
Abbiamo così una grande ricchezza di specie sempreverdi, peculiari della macchia mediterranea in alto e di felci e altre piante da clima più freddo sul fondo della forra.
Anche la fauna è diversificata e capace di utilizzare le numerose nicchie ecologiche fornite dal sistema.
Le forre sono insomma veri corridoi ecologici; scrigni pieni di tesori.
Ma torniamo alla domanda: “le forre sono piccole o grandi”.
Sono gigantesche.
Vi si può camminare per ore e ricevere sensazioni particolari in una dimensione wilderness/avventura.
La sensazione più potente è il fatto che ci sembra di stare in un universo parallelo.
E alcune volte l’universo parallelo della forra incontra l’universo degli umani.
Capita infatti che, mentre camminiamo sul fondo, i latrati dei cani e le voci di chi vi abita alcune decine di metri sopra di noi, ci informano che lassù c’è, appunto, la dimensione degli umani, quella peraltro dove ci trovavamo anche noi fino a poco prima e dove torneremo poco dopo.
Fra l’altro quasi certamente chi abita lassù, a pochi metri da noi, non è mai sceso qui sotto, come se fosse impedito da una barriera.
La sensazione è un po’ tipo quella citata nella serie “Ai confini della realtà ricordate, voi più grandicelli?
... è la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere. È la regione dell’immaginazione…”
E, ascoltando i latrati e le voci umane, mi viene in mente un’altra citazione tratta dal cinema di fantascienza: la scena chiave di “Interstellar”.
In essa Matthew McConaughey comunica alla figlia le informazioni che salveranno l’umanità, come se fosse a pochi metri da lei, pur trovandosi in un’altra dimensione spazio-temporale.
Insomma, vi si può camminare su e giù per delle ore, sempre in ambiente selvaggio.
Detto questo, le forre a nord di Roma non sono gigantesche come ci appaiono quando siamo al loro interno, ma sono sorprendentemente piccole.
Osservate la foto sotto.
Poco sopra Monte Gelato si snodano una serie di forre, larghe in media appena duecento metri.
Sottili strisce verde-scuro fra enormi aree più chiare.
Capito!?!
Eppure, in soli duecento metri, come appunto nelle forre del Treja della cartina sopra, possiamo camminare per ore e scoprire luoghi incantevoli come quello immortalato nella foto sotto: una delle anse rocciose del Treja.