
C’è un posto vicino Roma dove la commistione uomo-natura è massima: si tratta della celebre città morta di Monterano. Un luogo dove sorgenti sulfuree, vie cave, cascate e rovine romantiche sono amalgamate in un unicum che non ha forse pari nei pressi di Roma.
Accenniamo a Monterano nonostante non sia segreta, perché si trova al centro di numerosi luoghi altrettanto suggestivi e invece ignoti ai più.
Il primo dei due luoghi che sono oggetto di questo articolo, si trova in direzione di Roma, al limite della Macchia Grande di Manziana.
E’ un galleria di cui è ignota l’origine e il periodo di costruzione. E’ detta Ipogeo di Santa Pupa, e un tempo traforava l’intera collina. Ora è ostruita dopo circa 70 metri.

Anche questa, come la chiesa sotterranea di S.Nicola, che abbiamo visto nel post dedicato ai Segreti dell’Inviolata, è probabile fosse un Mitreo.
Come per San Nicola, entrando all’interno la suggestione è massima.
E come per San Nicola l’emozione raggiunge l’apice, allorché si giunge sotto il lucernario (detto “Occhialone” dai locali), aperto nella roccia probabilmente per illuminare l’altare dall’alto.
Da notare che a circa 500 metri dall’Ipogeo di Santa Pupa, all’interno della Macchia di Manziana, c’è un altro ipogeo più piccolo, e molto simile, con la singolarità di avere due sequenze di cavità ai lati.

Siamo a soli 30 chilometri circa dal GRA, ma il mistero che aleggia in questi complessi sotterranei ci porta lontano nel tempo e nello spazio.
Finita questa immersione nel mistero (Roberto Giacobbo a questo punto “ce spiccia casa”!), e tornati sulla strada Manziana-Tolfa, se girate verso Tolfa anziché verso Roma, vi inoltrerete in uno dei territori più incantevoli e selvaggi del Lazio, quello dei monti della Tolfa fra Manziana e Allumiere, percorso dalla solitaria strada da Far West, che serpeggia in un paesaggio senza tracce umane e con le sole mucche brade al pascolo.
Dopo qualche chilometro di “deserto” su questa stupenda strada, incrocerete a sinistra l’indicazione per le Terme di Stigliano. Alla stessa altezza a destra vedrete un cartello che indica il secondo luogo di cui parliamo oggi, segreto fino a quando non hanno appunto messo questo cartello con le indicazioni, ovvero i (due) Laghi di Mercareccia.

Uno dei due laghi occupa una parte dei resti di una cava, ed entrambi, immersi in un ambiente primordiale, compongono uno spettacolo unico perlomeno nel Lazio.
La vista dall’alto è infatti spettacolare specialmente con la luce del pomeriggio:
sul fondo delle conche si adagiano i laghi.
Oltre questi, a perdita d’occhio, gli ondulati monti della Tolfa si stendono per decine di chilometri, fino all’orizzonte, senza alcuna opera umana (né antenne, né fili elettrici, né strade, né alcun manufatto umano di sorta) ad alterarne la visione.
A completare il quadro ci sarebbe poi lo scorrere del Mignone, il fiume che nasce non lontano da Bracciano, e che sfocia nel Tirreno percorrendo quasi interamente zone selvagge.

Molti punti del suo percorso sono legati a miei intensi ricordi di escursioni.
A cominciare dove il Mignone lambisce Monterano.
Per continuare nello stupendo punto, dove il fiume scorre accanto alla Manziana-Tolfa all’altezza del borgo di Rota (ora privato), che si erge solitario a picco sulla sua valle.
I ricordi sono infine legati al celebre e bellissimo ponte della ex ferrovia Orte-Civitavecchia (una linea ferroviaria capolavoro di ingegneria, e sventuratamente dismessa), alto sulla selvaggia valle del Mignone.
Questo ponte è stato infatti il crocevia di tante mie escursioni effettuate in questo territorio, rimasto intatto per centinaia di anni.

Su questo ponte alle ore due di una notte di fine agosto un gruppo di sette valorosi (me compreso) sostò per rifocillarsi, a metà di una traversata in mountain bike iniziata alla stazione di Capranica, dove arrivammo da Roma con il treno alle 10.30 di sera, e terminata, dopo l’attraversamento della parte nord dei monti della Tolfa e la successiva vertiginosa discesa verso il mare, alla stazione di Civitavecchia alle 5.30 di mattina.
Dove, dopo la più deliziosa colazione mai fatta in un bar di stazione, salimmo sul treno delle 5.58 a.m. che da Civitavecchia ci riportò a Roma.

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