
Nelle presentazioni delle tre guide ai Luoghi Segreti a due passi da Roma che tengo periodicamente, vediamo, in una slide, Indiana Jones, simbolo dell’avventura, andare ad Alessandretta, in Turchia (in realtà a Petra, in Giordania), a cercare il Sacro Graal.
E cosa c’entra Petra con Formello?
C’entra! Perché, pur trovandosi in un’area semidesertica, era una città ricca d’acqua, che vi veniva portata per il tramite di decine di chilometri di canali e gallerie: un’opera di ingegneria che se la batteva con gli acquedotti romani.

E decine di chilometri di gallerie (cinque decine circa) le troviamo anche nelle meno famose, meno turistiche e diversamente suggestive campagne di Formello.
Abituati ad avere, oggi, sempre acqua disponibile (per quanto il caos climatico degli ultimi anni potrebbe cambiare questo fatto, dato per scontato), non ci rendiamo conto dell’importanza dell’acqua per le antiche civiltà, e di come queste si fossero ingegnate per drenarla, domarla, trasportarla.
E l’acqua, a compensare, fece grandi queste civiltà.
Bene, come i nabatei a Petra, così gli etruschi (e poi i romani) crearono in Etruria, e nello specifico a Formello, un qualcosa di unico, di certo in Europa, anche se scavarono le gallerie per il problema opposto a quello che avevano i nabatei, ovvero perché di acqua ce n’era fin troppa.
Infatti l’acqua, in Etruria, portava, oltre alla vita, anche inondazioni, insetti, acquitrini.
Scavarono così una rete intricata e infinita di canali sotterranei atti a drenarla dai campi e a convogliarla dove serviva.

Trapassarono poi la roccia con i pozzi di servizio, tanti, che servivano a calare gli addetti alla manutenzione, a captare l’acqua, a far girare l’aria.
Nel frattempo edificavano le loro città sulle rupi tufacee a picco sui fiumi, salubri e protette.
Esplorando queste gallerie, possiamo avvertire, come per tanti luoghi segreti descritti in questo blog, le competenze che cento e passa generazioni hanno trasmesso a quelle successive.
Competenze che hanno per millenni garantito l’assetto ambientale e paesaggistico, equilibrato le variazioni climatiche, protetto dalle avversità naturali e meteorologiche e assicurato il rinnovo delle risorse.
Si tratta peraltro di tecniche comuni a quelle dei nabatei e di tanti altri popoli, che anche domarono le acque, e che potrebbero quindi avere un’antichissima, intrigante, matrice comune. Peter Kolosimo docet.
Queste tecniche e conoscenze dei processi di utilizzo delle risorse sono state, fino a poco più di cent’anni fa, verificate dall’esperienza collettiva di lungo periodo, trasmesse di padre in figlio e incorporate nel patrimonio culturale dei popoli.

Oggi abbiamo in pratica perduto queste competenze, soprattutto a causa del delirante modello di crescita illimitata in un mondo di risorse limitate.
Ecco, allora, trovarci davanti a incredibili opere di ingegneria come queste, senza riuscire a comprendere né come poterono edificarle, né lo spirito che le animava.
Terminata la premessa, passiamo al luogo segreto di oggi.
A suo tempo visitammo il Fosso degli Olmetti, lo straordinario acquedotto etrusco ancora parzialmente funzionante, in un ambiente straniante e a soli otto chilometri dal GRA, tra Roma e Formello.
Dopodiché esplorammo altre gallerie, e poi altre, e altre ancora, in una serie di cerchi concentrici sempre più ampi.

Quando sembrava che avessimo esplorato tutte le Gallerie di Formello
ecco l’amico indigeno Francesco Braghetta, individuarne un’altra, vicino dove era partita, anni fa, la nostra avventura, ovvero il Fosso degli Olmetti.
Ci conduce così a visitarla nel corso di questo piovosissimo (e meno male!) inverno.
L’accesso è, inizialmente, simile a quello delle altre gallerie: camminiamo fra piccole elevazioni ricoperte di vegetazione badando a non precipitare nei pozzi di servizio, indizio principe della presenza di condotti sotterranei, scendiamo nella gola sottostante dove il pendio è meno ripido e troviamo l’entrata.
Penetriamo quindi nell’inedita galleria, che, complice la grande quantità d’acqua, riesce a sorprenderci, nonostante sia l’ennesima che vediamo.

Chi ha percorso in barca il periplo di Palmarola (o di altre isole come Marettimo), ricorda gli oscuri passaggi fra le rocce, dove i raggi del sole, che filtrano dalle aperture, creano fantastici riverberi.
Ebbene; lo stesso accade in questa galleria, dove la luce che penetra dai pozzi di servizio e da aperture laterali balugina sulla superficie dell’acqua.

Come già narrato, sono i pozzi di servizio a rendere uniche le gallerie di Formello e non solo.
Nei millenni alcuni di questi pozzi si sono allargati a dismisura per via dell’erosione e si sono trasformati in giganteschi occhi, dai quali guardare dall’alto verso il ventre della terra, o dal fondo delle gallerie verso l’alto, con alberi che crescono in orizzontale e con le radici a vista di altri alberi. Il tutto in precario equilibrio.
Da questi lucernari la luce filtra in modo sempre diverso e suggestivo a seconda della stagione, dell’ora, delle nuvole.
E poi c’è il perpetuo picchiettare dell’acqua.
Il tempo all’interno delle gallerie lo batte l’acqua, che precipita e, nell’oscurità, ogni suono evoca una figura.
Entrare nelle Gallerie di Formello, fra i più segreti fra i luoghi segreti a due passi da Roma, con i piedi nell’acqua e nel fango, vedere i caravaggeschi giochi di luce che scende dai pozzi di servizio e dalle spaccature laterali, è un’immersione totale, fisica e mentale, in un mondo arcano.

“Ma… ci porti, Luigi?” Si! Il 24 giugno!
Allorché sfideremo il caldo per goderci al meglio i riverberi dei raggi del sole allo zenith, che vi penetreranno.
Ci sarà anche meno acqua, così da percorrerla più agevolmente.
Un must per i fotografi, come del resto tutte le escursioni in programma.
Sarà un itinerario inedito e non incluso nelle tre guide.
Verificate il calendario delle escursioni e tenetevi, dunque, pronti!

La foto di copertina è di Salvo Ricotta.