
“Caspita Luigi! Ma tu ci hai proprio la fissa delle cave!?!”
Ebbene si! Dichiaro apertamente questa passione.
Le cave mi piacciono più o meno tutte, antiche e recenti, belle e brutte.
Quando pensiamo alle cave, ci vengono in mente luoghi degradati con camion rumorosi che vanno e vengono.
Le cave devastano, infatti, regolarmente luoghi molto belli.
Anche se, anni fa, nel Viterbese, mi affacciai, in un pomeriggio estivo dall’alto di una collina verso una cava moderna, dismessa da non molto tempo e con laghetto d’ordinanza: alcuni cinghiali si abbeveravano nello specchio d’acqua al suo centro e, fra i riverberi sulle chiare e aride pareti tufacee e il laghetto luccicante, mi sembrava di stare in un documentario di Geo, con i potamocheri che si abbeverano nei laghi del Serengeti.

Tutto cambia, se penetriamo nelle cave risalenti all’epoca romana, che si trovano in uno stato d’abbandono talmente estremo da farsi spettacolare (le cave di Cusa e quelle di Siracusa, in Sicilia, docent).
Le abbiamo viste nel post sette cave misteriose nei pressi di Roma.
Al loro interno avvertiamo il respiro della storia e ammiriamo l’intimo connubio della natura con l’ingegno umano.
Le cave, molte delle quali necessariamente vicino a Roma, furono fucine inesauribili di tufi, travertini, pozzolane.
In particolare durante l’impero romano furono una vera e propria industria al servizio della città più celebre e popolosa dell’antichità e, forse, di tutti i tempi.
Furono il perno di un’organizzazione logistica di enorme complessità, di estrema cura dei particolari e strutturata in modo ferreo, con cavatori, battellieri, facchini, carrettieri, ognuno con proprie competenze.
Una filiera senza paragoni per l’epoca, e anche per quelle successive, che rese Roma eterna.

Ma, se anche ne ignorassimo origine e funzione, una volta al loro interno ci sembrerebbe di trovarci in una fiaba (e io avverto sempre questa sensazione) e non avremmo bisogno di spiegazioni.
Fra le tante cave sparse nei dintorni della capitale, ci sono due posti dove hanno raggiunto una tale imponenza, che potrebbero diventare siti archeologici di prim’ordine, al pari di siti famosi come le Terme di Caracalla e simili.
Il primo sono le Cave di Salone, presso la via Collatina, a poca distanza dal GRA e dall’Aniene e a esse abbiamo dedicati diversi articoli di questo blog, oltre che, ovviamente, un capitolo nelle guide ai luoghi segreti a due passi da Roma.
Il secondo si trova tra la via Flaminia e la via Tiberina, a poca distanza dal cimitero di Prima Porta. Si tratta di un sistema unitario di cave (ora separate da recinzioni e terreni privati) un tempo tutte probabilmente connesse alla “autostrada” di cui leggemmo nel post dedicato alle gallerie di Pietra Pertusa .

Glli amici Diego, Mauro, Stefano e Francesco, come ormai sappiamo, perlustrarono questa zona in modo maniacale e compulsivo, come sono soliti fare.
Non contenti delle tante scoperte fatte, continuarono a studiare le mappe e a effettuare periodici sopralluoghi, fino a individuare le cave lungo la via Tiberina, che si insinua dolcemente fra le colline e le anse del Tevere e che nasconde scorci inaspettati.
Stefano, nello specifico, individuò le cave di Riano, nascoste in una fitta macchia boscosa. E di queste abbiamo raccontato la genesi della loro scoperta.
Poi individuò le cave di Castelnuovo di Porto.
Che sono il luogo segreto di oggi. Oltre che il decimo sistema di cave descritto nel blog. Oltre che l’ennesimo luogo segreto nel territorio di Castelnuovo!
Cosa dite? Che potrei scrivere una guida apposita per le cave segrete a due passi da Roma?
Beh! A questo punto direi di si!
Così come i tempi sono maturi per una guida dedicata alle cascate vicino Roma e, magari, per una guida dedicata alle gallerie etrusche appena fuori la città.
Basta, ora, divagare.
Arriviamo a noi.

Seguendo le indicazioni di Stefano, parcheggiamo sulla Tiberina e ci inoltriamo lungo una traccia di sentiero disseminata di cardi pungenti.
Dopo poco giungiamo in vista di enormi cavità, che forano una collina di tufo.
È una scena che ben conosco.
So infatti cosa mi aspetta all’interno della collina: i fori preludono alle cave.
E invece no.
O, meglio, le cave ci sono. Ma… sono immense! Le più grandi che io abbia finora visto.
Quelle di Salone in realtà sono più estese. Ma sono composte di ambienti disassemblati.
Qui, invece, gli ambienti sono tutti collegati e si perdono in lontananza nell’oscurità, con i finestroni che lasciano passare i raggi del sole e rendono il tutto molto caravaggesco.

Dopo averle percorse fino in fondo, ne usciamo e ci troviamo davanti un’altra meraviglia: un arco di roccia degno del Bryce Canyon.
Lo sottopassiamo e cominciamo a tornare verso la macchina.
Davanti a noi si staglia nella sua imponenza la valle del Tevere, con uno svincolo dell’autostrada del Sole in primo piano e con lo skyline dei monti Sabini.
Ed ecco l’ultima tessera a terminare il quadro, che abbiamo cominciato a comporre tanti articoli fa:
come accennato sopra, c’era una volta una sorta di autostrada che partiva da Veio e senza probabilmente le gabelle imposte dai Benetton.
Lambiva quindi l’immenso sistema di cave nei pressi della via Flaminia.
Dopo avere sottopassato la Flaminia grazie alle grandiose gallerie scavate da etruschi e romani , raggiungeva anche queste cave e da qui continuava fino al poco distante Tevere.
Dalle sponde del fiume, a quel tempo navigabile fino al mare, partivano, quindi, le navi cargo dell’epoca, che portavano merci e materiale da costruzione a Roma, per renderla eterna.
Per concludere, direi che le cave romane tra la Flaminia e la Tiberina potrebbero formare il vertice di un triangolo rovesciato, avente come lati la Cassia e la Tiberina e come base la strada che congiunge gli altri due vertici: Civita Castellana e Viterbo.
All’interno di questo triangolo ci sarebbe materiale a sufficienza per un super parco naturalistico/archeologico unico al mondo.

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