
L’insediamento fortificato di Pietra Pertusa.
Ricevo e pubblico volentieri da Simone De Fraja questo contributo sulla Torre di Pietra Pertusa e in particolare sul luogo segreto poco distante, ovvero il Traforo sotto la Flaminia, a pochi chilometri dal GRA.
Nel corso dello sviluppo del progetto “Oltre Roma”, circa il medioevo dell’Agro romano, stavo raccogliendo notizie sulla fortificazione di Pietra Pertusa, posta nella verde e profonda vallata tra la Via Cassia e la Via Flaminia, non lontano da Malborghetto. Non mi convincevano le teorie, notoriamente circolanti, circa la funzionalità segnaletica dei paramenti delle torri vergate, a fasce alternate bicolore di cui vari sono gli esempi nell’Agro, come la Torre di Pietra Pertusa alle porte di Veio.
L’area, anche in ragione dell’abbondanza del materiale da costruzione, assunse un notevole interesse per la presenza di un diverticolo che dalla Flaminia si dirigeva verso Veio e tale fausta situazione viaria dovette essere sfruttata anche per l’elezione del sito della fortificazione, fausto anch’esso per la disponibilità di materiale di recupero dell’insediamento preesistente.
La torre è oggi compresa in una proprietà privata arrampicata su uno sperone tufaceo crivellato di grotte ed anfratti destinati, nel corso del tempo, ad usi vari, come si è soliti vedere in prossimità delle gialle falesie tufacee rivestite di verde.

Resta, verso nord, traccia delle mura del circuito quadrangolare che includeva la torre la cui base, quasi quadrata, sostiene un basamento ringrossato che si connette al paramento esterno caratterizzato da una dozzina di fasce alternate bianche e nere: calcare chiaro, tufo litoide e scaglie di selce probabilmente anche di recupero dall’antica pavimentazione stradale.
Tale manufatto, che compare esplicitamente nella documentazione sopravvissuta nel 1035, trova numerose rispondenze tipologiche, strutturali e formali in altri elementi fortificati dell’Agro attribuibili al secolo XII-XIII.
Il toponimo del luogo è di facile comprensione ma poco lega con la fortificazione; la fortificazione di Peyrepertuse, nel paese dei Catari, Pietrapertusa in Basilicata e toponimi simili fanno sicuro riferimento ad un forame, ad un’apertura, naturale o artificiale, caratterizzante la zona.
Essa sorge sui resti di un precedente insediamento del terzo secolo, ed in particolare nei pressi di una villa d’età imperiale, del quale sono stati individuati e recuperati ampi brani di mosaico che completavano l’ambientazione architettonica e naturale all’interno della quale era incastonata la villa: le falesie di tufo, oggi ricoperte da boscaglia, conservano ancora leggibili numerose lavorazioni nonché due grandi absidi relative a ninfei, una delle quali doveva essere magistralmente decorata; attrazione artificiale nello scenario naturalistico della quinta tufacea.rtusa in Basilicata e toponimi simili fanno sicuro riferimento ad un forame, ad un’apertura, naturale o artificiale, caratterizzante la zona.

Pertanto, “con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose”, come Dante che richiama un passo delle Istituzioni Giustineanee.
Studiando il territorio e le dinamiche di insediamento e di fortificazione, mi sono imbattuto, alla ricerca di immagini e foto d’epoca della torre a fasce, nel preciso ed attento contributo scientifico di Andrea Venier che ha ripercorso le tappe di Lanciani e Ashby con dovizia di osservazione.
La curiosità, e la necessaria frequentazione del sito, ha spinto anche me sullo stesso sentiero che ripercorro volentieri per il blog di Luigi Plos.
Il primo tentativo di individuare il forame nel tufo o la galleria che sottopassa la Via Flaminia l’ho esperito in estate con lo stesso deludente risultato che Venier riporta aver conseguito anche Judson-Kahane a causa della fitta ed incolta boscaglia oltre alla presenza di rovi.
Più precisamente, due sono i trafori che corrono sotto la Flaminia, poco distanti da Pietra Pertusa, la torre dell’apertura.
La galleria romana, più verso sud e più breve, e quella molto probabilmente di periodo etrusco, più verso nord che si apre non lontana dall’altra il cui sfogo orientale appare ostruito al termine di un camminamento, interrato ma agibile, di circa trecento metri.
Prima di superare il Fosso della Torraccia, lungo la strada bianca per la torre si apre un sentiero che costeggia il piede della falesia sopra la quale corre la Flaminia, quasi in corrispondenza di un vecchio opificio sul torrente si apre l’imbocco della galleria maggiore, e poco oltre verso sud, la galleria romana.
Se la galleria romana dalla alta volta pseudo ogivale, per quanto interessante anche per le variegature di colore che il tufo offre in contrasto con la vegetazione fitta e l’oscurità del corridoio, proprio la freschezza dei tagli della roccia, gli evidenti segni degli utensili, la presenza di nicchie per lucerne, rendono molto più avvincente la visita della galleria ritenuta più antica.
Ad ogni modo l’intervento di A.Venier localizza e analizza in dettaglio entrambi i percorsi ipogei.

La primavera offre la possibilità di individuare con più facilità l’accesso della galleria più antica ed offre una buona vista sulla torre a fasce bicromiche che appare quasi in corrispondenza dell’apertura: la torre del traforo, la “torre pertusa”; di contro, la presenza di acqua sul pavimento fangoso, è particolarmente significativa.
Il labbro dell’imboccatura è consunto dalle acque e dalla vegetazione che si riappropria degli spazi rivendicando come propria l’opera artificiale. Il taglio e la sezione del traforo è quadrangolare, con volta piana e regolare ed il pavimento, spesso madido di infiltrazioni, appare rialzato per interramento.
Segni di piccone, strumenti da taglio e di punta, caratterizzano tutto il corridoio quasi rivestito, all’ingresso, da concrezioni calcaree.
Un banco di nebbia, di solito, si concentra la dove finiscono i primi dieci o quindici passi e l’igrometro ed il termometro registrano uno strappo.
All’interno la temperatura è costante. Il tunnel risulta agibile con picchi minimi di altezza mai sotto il metro e mezzo e massimi intorno a tre metri mentre la larghezza, quasi costante di oltre due metri, garantiva una buona circolazione anche di mezzi ingombranti e pesanti al fine di evitare il dislivello in direzione est, nord-est.

A circa due terzi del percorso, nonostante qualche crollo e materiale di ingombro, nei pressi di un ramo laterale cieco di servizio alla galleria, ben più stretto, si notano i probabili resti di un carico abbandonato: alcuni blocchi di tufo, come freschi di taglio, di dimensioni di circa un metro e mezzo per oltre mezzo metro di lato e considerevole spessore giacciono semisepolti.
Ci troviamo al margine del Parco di Veio (nota di Luigi Plos).

La foto di copertina è di Simone De Fraja.
[…] mi immersi nell’approfondimento dell’articolo di Simone, che potete leggere nell’apposito post, e già mi immaginavo all’interno di questi trafori che venivano minuziosamente […]