
L’area intorno a Roma ha molti più fenomeni vulcanici di quanto pensiamo.
In questo blog abbiamo visto solo alcuni di questi, ignoti ai più: le terme probabilmente più segrete d’Italia e che si trovano addirittura all’interno del comune di Roma, nel XV municipio (ovvero le terme romane dei Bagni della Regina a Vejo), la sulfurea grotta del Fauno e i variopinti laghi della Solforata di Pomezia, una caldara celata fra i campi di Palidoro.
Il solito Marco De Santis ne sa sempre una più di me (ancora non so come diavolo faccia). E un giorno mi dice di conoscere una solfatara nei pressi di Nepi.
Diamine! Possibile che non la conosca?

Così, per il tramite dell’amica indigena Cecilia Paolucci contatto un geologo locale, Emanuele Palazzini e una gelida mattina di gennaio Emanuele mi fa lasciare la macchina davanti a un cancello, davanti al quale sono passato, ignaro, ventine di volte nella mia vita e mi fa attraversare una radura sconnessa.
Mentre camminiamo, il paesaggio cambia. Attraversiamo una serie di depressioni sempre più accentuate, finché un piccolo canyon ci incanala in una depressione più grande delle altre.
Intanto Emanuele mi spiega che siamo nella zona di intergiunzione fra l’apparato vulcanico sabatino e quello vicano (lago di Bracciano e lago di Vico). Anzi, sai che c’è? Che lascio a lui la parola:

“si tratta di un sito particolare, dove sono attive le testimonianze dell’origine vulcanica del nostro territorio. Morfologicamente si presenta come un’ampia depressione dove è ubicato un piccolo bacino di forma articolata ormai asciutto ma che in tempi recenti era occupato da acqua, all’interno del quale si notano piccoli fori dal quale esala anidride solforosa che, oltre all’olfatto, si sente gorgogliare sotto i nostri piedi.
Questo fenomeno è provocato dalla risalita di acqua profonda, mineralizzata dai residui dei gas contenuti in una profonda camera magmatica ormai inattiva.
Trovandosi in un ambiente caldo ad alta pressione, questa acqua risale in superficie, dove si raffredda a contatto con le acque superficiali.
Il passaggio da un ambiente profondo caldo e ad alta pressione ad un ambiente superficiale più freddo, a pressione più bassa e più ricco di ossigeno, fa si che vengano liberati i gas dal tipico odore solfureo”.

Con la radente lucente del mattino invernale il luogo è magnifico.
Una volta c’era un lago. Ma parte dell’acqua è stata probabilmente captata dalle abitazioni vicine e poi il fatto che non piove da un mese fa sì che il fondo sia secco.
Comunque si sente scorrere l’acqua sotto i nostri piedi e, sempre sotto di noi, si aprono i classici fori da dove esce il gas.
Al centro di questo lago fossile troviamo un tacco di terra, salendo sul quale abbiamo una visione a 360 gradi della solfatara, con i caldi colori che spiccano nel radente sole del mattino invernale.
Un’altra nota di “colore”: le palizzate che circondano questo lembo di terra, sono gialle per le esalazioni.
