La strada che giunge a Magliano Romano da Roma, passando da Formello, è una delle più incantevoli a nord di Roma.

Dal fondo della caldera dove nasce il Crèmera (e dove si trova la stupefacente galleria vegetale), si irripidisce e giunge sul bordo della caldera.
Dopodiché discende lungo il suo versante esterno in direzione di Magliano.
Il panorama diventa qui immenso, con l’isola calcarea del Soratte a dominare il mare di tufo del paesaggio falisco e con lo skyline degli Appennini.
Dal paese più isolato di quest’area del Lazio si dirama un’altra strada, panoramicamente superba come quella che abbiamo appena fatto.
Questa strada porta nientepopodimeno che … a Calcata, la regina di Faliscilandia.

Dal centro del paese scendiamo una strada ripida, che si inoltra nei valloni sottostanti, attraversiamo un cancello divelto e poi una radura dall’erba alta, risaliamo un pendio nella macchia fitta e, dopo poco, giungiamo al cospetto della grotta degli Angeli, dedicata al culto micaelico.

Detto così, sembra un eremo normale.
In realtà questo luogo è particolare rispetto alla maggior parte degli eremi rupestri del Lazio: è difficile da trovare, pur a poche centinaia di metri in linea d’aria dal paese e a poca distanza da Roma e si trova (se lo si trova) immerso in ambiente selvaggio.
Impossibile addirittura da trovare, finché, un giorno, le sentinelle del territorio Francesco Braghetta e Donatella Fracassi ripulirono l’entrata da un groviglio di rovi che creava una barriera insormontabile e la sentinella Maurizio Pennacchio vi lasciò un libro firma tipo rifugio alpino.

Forse risale ad epoca etrusca, riadattato a chiesa 1.400 anni fa e affrescato 800 anni fa.
A proposito, dovete assolutamente andare a vedere gli affreschi, di eccellente fattura, ora visibili nella chiesa del paese.
E poi, per me, conta assai il fatto che la grotta degli Angeli sia legata al culto micaelico.
Una storia particolarmente intrigante è il fatto che i tre più importanti santuari dedicati all’Arcangelo Michele furono edificati lungo una linea retta (detta la linea sacra di S. Michele, quella del colpo di spada con cui Michele ricacciò il diavolo all’inferno) e a distanza di circa mille chilometri l’uno dall’altro.
Una coincidenza, direste voi, se non fosse per il fatto che altri quattro santuari, sempre dedicati a Michele, si trovano sulla stessa linea, in Irlanda, Cornovaglia, Grecia e Israele.
Di questi tre santuari principali il primo è il celeberrimo Mont Saint Michel fra Bretagna e Normandia, quello delle maree, mentre il terzo, con le sue grotte, si trova a Monte S. Angelo sul Gargano.

Ma è il secondo, a metà distanza, circa, fra questi due, quello al quale sono più legato.
Si tratta della Sacra di S. Michele in Val di Susa.
Innanzitutto sembra Mont Saint Michel trasportato sulla cima di una montagna, poi ha ispirato Umberto Eco per “Il Nome della Rosa” e, ancora, ha tre diversi modi di essere raggiunto: con la strada, con un sentiero nel bosco che risale i seicento metri di dislivello dal fondo della Val di Susa (a poca distanza dall’imbocco del dannoso e inutile TAV Torino – Lione) e, ancora, per il tramite di una ferrata, che risale i seicento metri di parete nord, sempre dal fondo della Val di Susa: una vera ascesa verso l’ascesi.

Al termine di questa ferrata, unica nel suo genere, giunsi, un dì del 2012 sul piazzale antistante il santuario, con imbragatura, casco e moschettoni, sorprendendo le torme di pellegrini in batteria, appena scesi dai pulman, anche questi in batteria.
Tornato a terra, pardon, a valle, andai a trovare gli amici No – TAV.

La foto di copertina è di Giulio Giuliani.