Quella che segue è la storia di un anello in bici, di circa trenta chilometri, di grande fascino e unico nel suo genere, circoscritto nella parte più agreste di Roma nord e tutto all’interno del XV municipio.
Quest’anello può diventare un must per i ciclisti, romani e non, degno delle ventine di chilometri di strade bianche di Castel di Guido, della Marcigliana, di Decima Malafede.

Il 17 febbraio 2019, insieme a oltre cinquanta amici mountain bikers e bromptonisti, partimmo da Ponte Milvio alle 9.30.
Dapprima pedalammo lungo un tratto della ciclabile del Tevere, mentre davanti a noi si stagliava il primo dei luoghi segreti a due passi da Roma: i fori di Saxa Rubra (descritti nella terza guida ai luoghi segreti a due passi da Roma).
L’amico Roberto Siciliani ci stoppò in un punto della ciclabile e ci fece salire a uno a uno, per il tramite di una scaletta di fortuna da lui approntata, al fine di ammirare, oltre il muro, gli scavi che avevano portato alla luce il basolato della Flaminia Antica.
Passammo poi sopra la Flaminia Nuova e imboccammo la parallela Flaminia Vecchia, percorrendola per poco più di trecento metri.

Ma quante Flaminie c’erano? In pochi minuti aveva infatti visto i resti della Flaminia antica, abbandonata per via delle inondazioni del Tevere, poi avevamo percorso la Flaminia vecchia, percorsa per secoli fino agli anni ’60 e portata all’oblio da quella nuova, che avevamo scavalcato.
Lasciammo la Flaminia vecchia ed entrammo, per un angusto passaggio pedonale, nella sterrata via di Valle Vescovo, percorrendo la quale l’attenzione di tutti fu attirata da una slanciata torre, che si stagliava fra le morbide ondulazioni che rendono fascinosa questa zona di Roma. Sembrava la Torre del Mangia di Siena e ancor più assomigliava alla Torre della Cecchignola, uno dei luoghi più suggestivi di Roma Sud.
Passammo poi davanti all’ospedale di S. Andrea e planammo al secondo dei luoghi segreti: la grotta di Grottarossa (descritta nella terza guida ai luoghi segreti).
Purtroppo il pensile accesso alla grotta era franato e quindi solo pochi di noi, più avvezzi a mettere le mani sulla roccia, riuscirono ad arrampicare, per visitare questo luogo così suggestivo e carico di storia.
Riprendemmo le bici e dopo pochi metri imboccammo un’altra, panoramica, strada bianca che lambiva alcuni casolari.

Giunti sotto il viadotto del GRA, ci accingemmo a fare l’unica vera salita dell’anello, faticosa ma entusiasmante per la presenza, verso la fine, delle tracce di basolato dell’antica via Veientana.
Prendemmo quindi via della Giustiniana, una delle strade meno trafficate, più verdi e più panoramiche di Roma e, dopo un’inebriante discesa, entrammo nella valle del Crèmera.
Per un altro stretto passaggio pedonale, lungo strade campestri, giungemmo in vista del terzo dei luoghi segreti lambiti da questa escursione: la piccola e selvaggia forra che il Crèmera forma poco prima della foce (descritta nella terza guida ai luoghi segreti).
Un’altra sinuosa strada bianca fra i campi ci portò al cospetto dell’immensa mole dell’ospedale S. Andrea, che ci aspettava come un mostro a bocca spalancata.
Dall’ospedale planammo sulla tranquilla e panoramica via di Grottarossa e tornammo a Ponte Milvio dopo quattro entusiasmanti ore.
Continua sotto.

Torre Molinario.
Tempo prima camminavamo, Giovanna e io, lungo via di Valle Vescovo.
La nostra attenzione fu attirata da una collina rocciosa, alla quale giungemmo, superando un cancello divelto.
Si trattava di grandi pareti tufacee, nelle quali erano presenti grotte artificiali.
Ci accorgemmo quindi di una sorta di mulattiera che rimontava la collina in direzione dell’altopiano superiore, la prendemmo, sbucammo sull’altopiano e … tadahhh!
Davanti a noi si stagliava la torre, che aveva attirato l’attenzione dei ciclisti in occasione dell’anello.
La torre era parzialmente celata da alcuni alberi ed era altissima!
E venni a sapere che si trattava di Torre Molinario, una torre “piezometrica” con la funzione di regolare, nelle ore di maggior utilizzo, il flusso dell’acqua nelle condotte sottostanti e facente parte dell’omonima tenuta.
Si trattava del quarto luogo segreto, purtroppo in terreno privato, dell’anello in bici appena descritto e lungo quella che è la mia via consolare preferita, la Flaminia.
Continua sotto.

La Flaminia Vecchia.
Oggi la Flaminia Vecchia è una strada secondaria e con scarso traffico. Eppure in poche centinaia di metri vi troviamo i segni di un passato ricco.
A cominciare dalla trattoria Grottarossa “da Baffone” (ora “Streetart”).
Essa appare fuori luogo, inconcepibile lungo una strada periferica così deserta, e la sua esistenza assume significato, se veniamo a sapere che fu fondata nel 1930, lungo la vitale Flaminia del tempo e che era punto di incontro delle vicine comunità di operai e contadini e, ovviamente, dei viaggiatori.
Un tempo questo luogo di ristoro era vivace e frequentato, magari come quelli dove sostavano Gassman e Trintignant ne “Il Sorpasso”, film ambientato anche lungo nuove consolari, che andavano ad “asfaltare” quelle vecchie.
“Da Baffone” mi ricordò il ristorante “Antico Furlo” sempre lungo la Flaminia, oltre duecentocinquanta chilometri più avanti, nelle Marche.
Anche l’ ”Antico Furlo”, con in più un contesto paesaggistico straordinario, giace ora silente e tranquillo, anche troppo, insieme ai cimeli del suo glorioso passato.

Un po’ più avanti verso Roma, prima della “locanda Flaminia”, ormai chiusa e ricoperta di rovi (e anche questa dove essere ben vitale fino agli ’60 – ovvero due ristoranti a distanza di circa cento metri), sorge la cordigliera di silos giganteschi, facenti parte della Romana Macinazione, nata nel 1951, dove un tempo si produceva, fra l’altro, la mitica rosetta.
Oggi l’impianto è chiuso come, purtroppo, buona parte della gloriosa manifattura italiana.
È l’Italia vera, quella dei contadini, degli operai, della gente comune che scompare.
In compenso (è ironico) sulla collina c’è un bel complesso residenziale in costruzione da almeno quindici anni.
Sempre lungo questo breve tratto di Flaminia vecchia abbiamo i sepolcri romani dei Nasoni e di Fedilla, quasi sempre chiusi, ed ulteriori simboli dell’importante passato di questa via consolare.
Ancora qualche metro e ci imbattiamo in un grande casale dal caratteristico colore rosso mattone che caratterizza gran parte delle tenute agricole della campagna romana, con l’orologio posto al centro.

Negli anni ’70 ero lupetto presso la sede scout di Piazza Euclide e le nostre uscite domenicali consistevano spesso in questo: attraversavamo la piazza, prendevano il treno nell’antistante stazione “Euclide” della spettacolare linea ferroviaria Roma – Civita Castellana – Viterbo (sulla quale più volte vi ho consigliato di viaggiare) e scendevamo dopo pochi minuti alla stazione di Grottarossa.
Attraversavamo la Flaminia nuova, scendevamo dal cavalcavia su quella vecchia, imboccavamo una strada sterrata a lato del casale rosso e sciamavamo sulle erbose e selvatiche colline adiacenti.
Oggi il casale è stato trasformato in residenze di lusso e il terreno circostante, parco giochi di noi bambini, è stato recintato.
Un tempo era un’importante tenuta agricola detta “ Casale Molinario”.
Per le esigenze spirituali dei lavoranti (copio da Wikipedia) il proprietario della tenuta costruì una chiesa nel 1937. E perché la cito?
Perché per decenni, percorrendo la Flaminia nuova, mi aveva incuriosito il vedere il retro di una chiesa lungo una via così importante.
Ovvero, come mai costruirla con l’entrata dalla parte opposta la strada?
Semplice! La chiesa era stata edificata lungo quella che era una volta la via principale, ovvero la Flaminia Vecchia, frontalmente a Casale Molinario.
Era quindi logico vederne l’abside transitando lungo quella che è oggi la strada principale, ovvero la Flaminia Nuova che un tempo non esisteva.

Mmmhhh forse ho divagato un po’ troppo. Ma trovo sempre emozionante tornare agli anni ’30 e anche più indietro, senza uscire dalla città.
In particolare mi appassiona vedere come, un tempo, esistevano comunità, come questa a Grottarossa (e ce n’erano tante a Roma e in Italia in genere; una fra tutte quella dei lavoratori di Garbatella) dove, nonostante lo sfruttamento, i “padroni” provvedevano alle esigenze base delle famiglie, le quali godevano di certa stabilità a livello lavorativo, familiare, psicologico e dove erano presenti trattorie, chiesa e altri punti di aggregazione.
Di tutto questo oggi, di sicuro, è rimasto lo sfruttamento.
Ah! Una nota curiosa: la stazione “Euclide” è probabilmente unica in Italia. Vi si accede infatti dall’androne di un palazzo (edilizia residenziale).
Ed è straniante entrarvi, in particolare la prima volta.

La foto di copertina è di Roberto Mieli.