Di nuovo Pierpaolo, il mio Virgilio.
Questa volta esce il capino dal suo territorio, che come sappiamo si estende da Tolfa a Cerveteri e, un torrido mattino di agosto del 2021, ci porta alla famigerata spiaggia di Coccia di Morto, che ha anche ispirato un film italiano del 2021, sequel di un film di successo di qualche anno prima.
Io, da montanaro snob assai, non amo il mare, a meno che non si tratti, minimo minimo, di quello dell’Argentario o di Cala di Luna.

Quindi il litorale romano non è in cima ai miei pensieri.
Tanto meno Coccia di Morto.
Per quanto, quel mattino dello scorso agosto, la spiaggia era ammantata di un particolare fascino pasoliniano, che mi frega sempre.
E su questa spiaggia quasi deserta e desolata eravamo per inciso gli unici vestiti; in più con scarponi e machete).
A proposito di machete, lo tiriamo subito fuori e ci apriamo un varco nei vari filari di rovi che delimitano la spiaggia.

Dopodiché imboccammo una serie di tracce nella fitta macchia mediterranea, in vista del canale emissario di Coccia di Morto.
Dopo circa quindici minuti eravamo in prossimità della nostra meta, ancora non visibile.
Qui la macchia era più fitta e l’unico modo per avvicinarci era camminare sulla riva del canale, sfrondando i folti arbusti che arrivavano in acqua.
Via gli ultimi rovi e ci trovammo al cospetto della villa.

Si tratta di una residenza unica, sembra a fruizione del principe Torlonia, ed edificata nel 1934.
In cemento armato e a forma di catamarano.
Purtroppo in rovina.
Ora, io adoro l’architettura razionalista del ventennio.
Ebbene, vederla applicata in un luogo così singolare, con le finestre che sono gli oblò dell’imbarcazione e con i due ambienti principali divisi nei due scafi e collegati da un corridoio pensile/ponte di catamarano (appunto), mi destabilizzò felicemente.
