
Nella prima delle tre guide (e anche in questo blog) andammo a Belmonte e tornammo indietro di mille anni, pur trovandoci a poche centinaia di metri dal paese di Castelnuovo.
Negli anni avevo perlustrato a dovere questo sito e non pensavo di dovervi scoprire altro.
Ma non avevo fatto i conti con la rete di sentinelle che presidiano con passione il nostro territorio e che mi contattano, quando scoprono luoghi nuovi e inaspettati nei dintorni di Roma.
Una delle cinque sentinelle principi di Castelnuovo di Porto è Luigi Perini.
Il quale trascorre buona parte del suo tempo libero, roncola in mano, a riportare alla luce i manufatti che individua nella folta vegetazione.
Le altre quattro sono: Gianfranco Marchetti, anch’egli roncola-munito, Pamela Bartolomei, Fulvia Polinari, la mia sovrintendente archeologa preferita e Marina Gallinelli, che, con la passione che contraddistingue tutte le sentinelle, racconta, nel suo blog, lo straordinario territorio a nord di Roma.

Un giorno Luigi mi contatta, e mi comunica concitato le sue ultime scoperte a Belmonte.
Io rimango scettico visto che, dopo diversi sopralluoghi nella zona, non mi sembra ci sia altro da scoprire.

Penso che Luigi, sempre entusiasta del sorprendente territorio di Castelnuovo, stia enfatizzando i siti che ha individuato.
Non sa che a me, che ne ho visti tanti simili, non sortiranno probabilmente lo stesso effetto.
D’altra parte la curiosità mi condanna a peregrinare senza requie sul mio territorio, un po’ come il cavaliere Galgano, quello della spada nella roccia, del romanzo “I sotterranei del cielo“.
Eccomi, dunque, calamitato a Castelnuovo, a quindici chilometri dal GRA, a incontrare Luigi e il suo amico Daniele, in una giornata invernale dal cielo cobalto, con le acque del fosso di S. Antonino rese fosforescenti dai raggi obliqui, che elevano a potenza ogni colore.
Per cominciare, Luigi ci fa arrivare sulla sponda del fosso di S. Antonino lungo una traccia aperta da lui.

Siamo stati diverse volte lungo questo fosso: antiche mole e condotte idrauliche, cascate, sorgenti sulfuree e ferruginose e tanto altro.
E, gennaio 2018, il fosso di S. Antonino è più scrosciante che mai, grazie alle copiose piogge, che sono riprese nel settembre del 2017 dopo due anni di siccità.
Lo incrociamo che è appena uscito dalla sua forra, dove si fa largo a testate fra le rosse pareti rocciose, con l’acqua che scende strafottente come spinta da un poseidone locale, ad alimentare le tre cascate in simbiosi con le tre mole incantate, Mola di Sopra, Moletta di Mezzo e Mola Paradisi, che anche, ormai, conosciamo.
Facciamo senza indugio i pochi metri di guado, superiamo lo Stargate e torniamo immediatamente indietro di mille anni.
Risaliamo la rupe di Belmonte per il versante più ripido e giungiamo ai piedi della torre e… “Qui ti voglio vedere, caro Luigi Perini! L’altopiano non può riservare sorprese. Dove pensi di portarci?”
Luigi, tomo tomo, ci fa scendere per una ripida traccia di sentiero alle spalle della torre, che mai avevo notato, anche perché prima c’erano i rovi, da lui sfrondati.
Il sentiero effettua un’erta curva di 180 gradi e raggiunge lo scalino di roccia sotto la torre.
E qui si apre un mondo: sotto di noi il fosso di Costa Frigida che, poco prima della confluenza in quello di S. Antonino, si allarga in un rigoglioso laghetto con cascata.
I massi che calpestiamo sono, poi, incisi da solchi profondi: erano probabilmente canaline per la lavorazione del lino.

Da qui un secondo sentiero, sempre tracciato da Luigi, ci porterà, a seguire, alla fragorosa cascata della Mola di Mezzo e da lì un’altra traccia, sempre aperta da Luigi, ci riporterà, con percorso ad anello, verso il lago di Grotta Pagana e Monte Mariello, evitando i rovi lungo il fiume. Ma questa è un’altra storia.
Non scendiamo, infatti, verso la Moletta di Mezzo, perché c’è un’altra sorpresa, ovvero un foro profondo quasi dieci metri e largo uno e mezzo, perfettamente circolare, scavato nella roccia.
La base del foro è aperta e, accanto all’apertura, si rivela davanti a noi un sistema di grotte, di probabile utilizzo abitativo, che si affacciano a picco sulla valle del fiume.
Insomma, Belmonte era più che mai un insediamento autosufficiente: torre, terra abbondante per pascoli e coltivi, due fiumi, lavorazione dei tessuti e tanto altro, e Luigi è riuscito a stupirmi.

E non è finita!
Risaliamo il pendìo, passiamo dalla torre e percorriamo l’altopiano tenendoci sull’orlo occidentale, ovvero sul versante che guarda il territorio di Sacrofano.
Ora che ci penso, fino a quel momento l’avevo sempre percorso lungo l’orlo orientale, quello affacciato sul lago di Grotta Pagana, in direzione di Castelnuovo.
Con l’occasione mi imbatto in altre altre grotte artificiali fino a un’ulteriore sorpresa: appaiono i resti della cinta muraria di epoca etrusca.
I ruderi pretendono una sosta e noi effettuiamo un’autopsia muraria, che fu a suo tempo eseguita con successo dalla nostra Fulvia Polinari (ripresa in basso in posa profetica, sempre sull’altopiano di Belmonte).

Passiamo attraverso quella che doveva essere una delle porte di accesso all’insediamento, diamo uno sguardo alle infinite colline che digradano verso Veio e, dopo avere nuovamente respirato la storia, torniamo a Monte Mariello, da dove siamo partiti circa due ore prima, a completare un anello straordinario.
Foto di copertina: entrando nel sistema di grotte sotto la torre di Belmonte, con Luigi in primo piano.