“Luigi! Ma…perché non metti le coordinate GPS nelle descrizioni di tutti i luoghi da te descritti?“.

Questa domanda sorprende sempre me, escursionista nato “professionalmente” negli anni ’80 e che ancora oggi usa cartine, bussola e altimetro.
Nell’agosto del 1993 attraversai in solitaria, in due giorni, il Supramonte da Oliena e Genna Silana, l’altopiano più selvaggio d’Italia (e forse d’Europa), senza sentieri, e con difficoltà di orientamento per i tanti canyon e doline di cui è costellato che costringono a lunghe deviazioni.
Beh! A quel tempo ero abbastanza matto, e un GPS mi avrebbe semplificato le cose. Sul Supramonte infatti, pur non essendomi perso, rischiai di lasciarci le penne: avevo sottovalutato un ambiente così estremo.
Ad ogni modo, nonostante quest’avventura, e molte altre, non ho mai avuto l’esigenza di passare al GPS.
Preferisco di gran lunga individuare gli itinerari con il solo intuito e/o con le cartine.
Ah! Questo mio capriccio vale anche quando guido: niente navigatori et similia. Al limite cartine stampate da google maps, anche se questo mi costringe qualche volta fare chilometri in più. Preferisco d’altra parte avere la testa sempre connessa con il territorio che attraverso e ragionare senza un intermediario elettronico, che mi sembra cancelli l’istinto.

Ho infatti notato che se perdo la connessione con il territorio che attraverso e seguo in la traccia GPS, ho poi difficoltà a “riconnettermi” con la zona che sto attraversando, e la facoltà ancestrale, chiamata orientamento, fatica a resettarsi.
Ho anche notato che se per qualche tempo non uso l’orientamento, ho l’impressione che mi si atrofizzi.
Ora, non dico di fare come Franco Michieli che dall’Islanda in giù attraversa aree selvagge, non solo senza GPS, ma anche senza cartine, bussola e altimetro, solamente interpretando il territorio e ritrovando intuizioni e sensi persi dall’uomo nel corso dei millenni di progresso. Però una via di mezzo possiamo trovarla.
Dice Franco Michieli:”…entrare nella natura con pochi mezzi…aiuta a ridimensionarsi, a muoversi con più saggezza…“.
E io adoro entrare nella natura in punta di piedi, tastare una cosa fisica come le mappe, leggere il territorio su di esse, salire quindi virtualmente a volo d’uccello sulla zona che percorro e “vederla” dall’alto grazie alla cartina: un esercizio mentale di grande soddisfazione.
E poi…vogliamo mettere la loro bellezza cromatica delle mappe? I colori che rappresentano un territorio e la sua storia?
Con il GPS invece può essere tutto troppo facile oppure troppo difficile, se talvolta smette di funzionare come all’interno dei canyon, ambienti dove mi muovo di frequente.

Ma perché questa prolusione? Ah si! Perché, dicevamo, molti mi chiedono perché non inserisco, a parte alcune mete relativamente più complesse delle altre, le coordinate GPS nelle informazioni riguardanti i 75 itinerari descritti nelle tre guide.
La premessa infatti è che voi non prendete in mano delle guide normali, ma una porta per l’avventura.
E l’avventura presuppone anche lo sforzo di muoversi sul territorio senza troppe informazioni, e mette in conto la possibilità di perdersi. A me piace molto perdere e poi ritrovare il percorso. Tanto, vicino Roma, i pericoli sono molto limitati.
Poi c’è la soddisfazione di giungere in luoghi fascinosi e sconosciuti, e di entrare, anche se solo per qualche ora, in una dimensione inconsueta, avventurosa appunto.
Si tratta di un modo differente di fare escursionismo rispetto, che so, a camminare sui favolosi sentieri delle Dolomiti, dove però ci sono più indicazioni che sulla tangenziale di Milano.

Sono quindi certo che le descrizioni che troverete nelle due guide di prossima pubblicazione vi saranno sufficienti per raggiungere i luoghi indicati, anche senza tracce GPS.
Di alcuni itinerari troverete comunque le coordinate GPS della meta.