
S. Angelo in Lacu è un luogo unico.
Si tratta di un sito stupendo, che fino poco tempo fa era semplice da raggiungere, a poche centinaia di metri dal convento di Palazzolo sulla via dei Laghi (Castelli Romani), e che fra non molto diventerà irraggiungibile e, quindi, un luogo segreto.
Vado a raccontare.

Una mattina arrivo al convento di Palazzolo, mi godo a lungo la meravigliosa vista (specialmente con il sole della mattina) del lago di Albano.
Dopodiché e mi appresto ad imboccare il ripido sentiero che, dal muro di cinta del convento, mi porterà in pochi minuti al…:
“Diamine! Ma che è successo! E’ tutto franato! E c’è un salto di quattro metri!”
esclamo mentre mi inchiodo sul ciglio di un burrone.
Mi riprendo dalla sorpresa e chiedo cosa sia successo a un frate che incontro davanti al convento. Mi dice che la frana risale alla primavera del 2014, che non ci sono soldi per rimettere in sesto la parte di collina collassata e che quindi il sentiero per il romitorio di S. Angelo in Lacu, la meta della mia escursione, non esiste più.

Mentre torno mestamente indietro, rifletto sul perché non ci siano mai soldi.
Si chiudono i presìdi locali: scuole, piccoli ospedali, gli uffici postali; non si fa più manutenzione del territorio (le frane…); non si assumono più operai e tecnici; i geologi, in un paese delicato a livello sismico e idrogeologico come il nostro, sono spesso precari e disoccupati.
Eppure le tasse, soprattutto quelle locali, aumentano, e solo negli ultimi sei anni, ovvero dall’insediamento del “salvifico” Monti e dei suoi successori, il debito pubblico è aumentato a botte di 50 miliardi di euro l’anno.
Quindi soldi ne sono girati tanti, e tanti lo Stato ne ha spesi, ma, evidentemente, non per la collettività (per salvare le banche si però, e in particolare quelle tedesche, dai crediti inesigibili dei poveri greci).
Continuo a rimuginare. E penso che forse non sia casuale questa volontà di voler lasciare andare tutto in malora, e di disaggregare le comunità locali che hanno reso ricca e feconda l’Italia.

Probabilmente perché solo comunità locali coese e vitali possono opporsi, con la loro cultura e i loro prodotti tradizionali, alla massificazione imposta da una globalizzazione, che impone prodotti e servizi che devono andare bene per tutti, e che vede quindi come ostacoli l’autonomia e l’auto produzione.
Ma, se anche questo mio pensiero fosse campato in aria, cosa dovrebbe fare una classe politica, che dirige la nazione con il patrimonio culturale più ricco del mondo, e che ha nelle comunità locali una ricchezza unica?
Per esempio dovrebbe favorire il ripopolamento dei mille paesi abbandonati, integrando il reddito a chi ci va. Per gli italiani non è mai stato un problema rivitalizzare luoghi abbandonati e creare attività nuove, anche se lontano dalle vie di comunicazione.
Sarebbe un atto d’amore verso la terre dei nostri antenati, e verso i nostri figli.
E invece un luogo antichissimo, bellissimo anche per come è incastonato nella magnifica natura del lago di Albano, che rappresenta la nostra storia, e nello specifico la storia del monachesimo occidentale, sta diventando irraggiungibile.

E la frana ne farà forse perdere presto la memoria.
Intanto, finché non diventa troppo complicato, andiamoci dalla parte di Castel Gandolfo, facendo un giro ben più lungo.
Prima di arrivarvi, non si può non deviare verso un luogo straordinario: una rupe vertiginosa a picco sul lago, chiamata “Pentima della Vecchiaccia”.
Il sentiero per l’eremo entra in un ambiente sempre più selvaggio e di sempre maggiore suggestione.
A un certo punto vedrete in basso, dall’altra parte di un vallone, i muri di sostegno del romitorio. Le tracce di sentiero aggirano il vallone e giungono su un promontorio roccioso. Scendete il ripido sentiero che si fa strada fra i massi e siete arrivati.

Alti ruderi spiccano in mezzo alla folta vegetazione a comporre il paesaggio romantico.
Poi una cappella scavata in un masso gigantesco e, ancora, una piccola galleria scavata nella roccia che porta verso…il nulla, ovvero verso un precipizio.
Terminata la visita di queste meraviglie, non tornate subito indietro, ma osservate la rupe che incombe sull’eremo.
Individuerete le entrate di due grotte, che scoprirete essere collegate, se vi entrerete (armatevi di torcia!).
All’interno troverete ulteriori suggestioni, a chiudere in bellezza la visita dell’eremo.
S. Angelo in Lacu è uno dei venticinque itinerari, che compongono la terza guida ai “Luoghi segreti a due passi da Roma“.
